Confessioni semiserie di un neopapà. L’incubo ha inizio

Articolo tratto dai racconti di Stefano A. Narciso – Revisione impaginazione e grafica a cura di Liberenotizie –

È ora. Bisogna andare in ospedale. In giornata la mia dolce metà dovrebbe partorire.
Mi carico come un somaro, le borse pesantissime e le butto in macchina. Carico lei, acqua, viveri manco andassi incontro ad una prova di sopravvivenza.
Carico pure mia suocera che nel frattempo mi percuote la schiena per scaricare l’ansia e si parte.

Li lascio davanti al pronto soccorso e cerco il parcheggio che non c’è. Come l’isola. Solo che invece di cantare, sparo parolacce. Quando vedo un angoletto libero, mi ci ficco. Il tutto mentre uno mi fissa e mi guarda male scuotendo la testa.

Entro dentro con la mascherina e cerco il pronto soccorso ostetrico. Dopo quattro giri lo trovo ed è subito scontro con l’infermeria acida che mi chiede che ci faccio lì.
Le dico che sono il compagno della mia compagna che sta per partorire. Lei, impassibile, mi accompagna a pedate fuori dal reparto.
Mi cacciano in giardino. Sono in attesa di notizie su una panchina.
Poi alla fine le assegnano il reparto. Salgo su evitando le infermiere e le suore con i forconi, e la vedo in piena crisi da contrazione acuta.
Mi avvicino ma morde come un pitbull inferocito.
Poi solo confusione e un’attesa di ore ed ore. Combatto l’ansia ed i pensieri mentre gioco a nascondino con l’infermiera che mi dà la caccia.
Non sono l’unico in eterna attesa ma ognuno combatte una battaglia interna.
Alla fine arriva la notizia… È nato!
Me lo fanno vedere e dimentico tutta l’ansia e le ore di attesa. Dimentico anche l’infermiera acida.
Lo guardo e mi sciolgo.
Me lo tolgono e mi buttano tra i panni sporchi dell’ospedale. Il mio compito da uomo è terminato…

Sono un neo papà. Sono un morto di sonno anonimo.
Le notti passano seguendo sempre gli stessi rituali. Crolliamo per un pochino, poi il “diavolo della Tasmania” ci sveglia puntualmente ogni ora ed è subito tette all’aria.
Lei passa le notti così. Con i seni in faccia a mio figlio che ciuccia instancabile. Poi ruttone, cacca e pianti isterici. Ad ogni cambio pannolino, consegue il singhiozzo che lo fa innervosire e piangere di nuovo.
Lei sfoggia ancora i seni, glieli sbatte in faccia e lui ciuccia.
“Ciuccia, figlio mio che le prossime tette all’aria le vedrai tra 18 anni!”
Poi bisogna farlo dormire e passa un’altra ora. Sembra appisolato, quindi approfittiamo.
Si risveglia e ci stordisce con un UNGHUE deciso e stridulo. Quando non riusciamo a consolarlo, la mia dolce metà si sfoga su di me. Mi sbrana con la stessa foga di un orso grizzly.

Provo a prenderlo io un po’ in braccio e gli canto una ninna nanna a modo mio. Mi guarda disgustato e strilla come un matto. Lo indirizzo verso il capezzolo di lei che è difficile quanto agganciare un modulo ad una stazione spaziale. Lui morde forte mentre lei non sa con chi prendersela, quindi mi tira l’abat-jour in faccia.

Lui ingerisce aria e latte come un tossico assatanato, lo fa così velocemente che soffre di meteorismo. È 3,920 chili di amore e aria compressa.
Lei lo bacia mentre dorme in piedi con due occhiaie nere come la notte. Balla come una posseduta con una piccola versione di me in braccio.
Siamo tre anime confuse in una stanza.
Va avanti in questo modo per tutta la notte, finché le cose non iniziano a degenerare. Si susseguono cacca, cambio di pannolini, rutti, scoregge in faccia, pianti, singhiozzi.
Mi ritrovo alla fine con il pannolino sporco di mio figlio al posto delle mie mutande.
Ad ogni modo, non tornerei mai indietro. Gli voglio già troppo bene.

Da quando è nato il diavoletto della Tasmania, la mia donna dice di avere i minuti contati. Non ha più tempo per me; in ordine di priorità, vengo dopo il barboncino del palazzo a fianco.

Ogni ora e mezza, massimo due, lui piange. Ha un acuto che penetra il cervello che non mi fa pensare. So solo che avrei dovuto chiamarlo Pavarotti.
Ho il sonno maledettamente leggero, quindi non dormo da 2978 ore di fila e qualsiasi cosa faccio, mi pare di scalare l’Everest sotto l’effetto di allucinogeni.
Quando ha finito di ciucciare, bisogna cullarlo in piedi fino a farlo addormentare (da seduto il principino di Torlonia, strilla). Se ti fermi un secondo, lui se ne accorge, apre gli occhi ed inizia l’allarme antincendio.
E così partono gli insulti verso il papà incapace! Incasso i colpi e cullo più forte di prima.
Io cullo forte!

Ho più quadricipiti ora di quando giocavo a calcetto.
Sono sommerso da attrezzi per neonati che devo recuperare quando la mia metà o le nonne me li richiedono. Sembro un cane da riporto. Trasporto carrozzini, passeggini, cullette, ovetti – TIPO: VECCHIO FERRO RACCOGLIAMO!
Con il tiralatte la mia dolce “mucca” si munge per gran parte del giorno. Non fa che mungere, allattare, prendermi a mazzate e ricominciare da capo.

Io dico BASTA alla violenza sui neo papà! Firmate per sostenermi in questa dura lotta.

Stefano A. Narciso

PremioNobelperlaLetteraturaSpazzatura

 

Pubblicato da Giorgio Consolandi

Giorgio Consolandi – Romano di nascita, apolide per istinto. Impegnato ideologicamente per il sociale, sento forte da sempre il dovere del perseguimento della giustezza e la difesa dei deboli. Contrasto con ogni mezzo i soprusi, sebbene consapevole che il concetto di società perfetta, rimarrà utopico. Ateo, perché rifiuto il concetto di creatore, pongo l’uomo al centro dell’universo e lo rendo responsabile delle sue scelte. Mi interesso di politica poiché credo sia necessaria una visione ampia di tutte le attività umane e della regolamentazione di esse, sono tuttavia consapevole della fallibilità e dell’imperfezione della politica, più che disilluso, continuo ad essere un sognatore, e lotto perché i sogni si concretizzino. La scrittura come forma espressiva del pensiero ed il pensiero come strumento motore della scrittura mi inducono a raccontare le mie analisi personali, le critiche, le esaltazioni, le allucinazioni ed i miraggi che la vita mi infligge senza compassione e senza chiedere permesso. Se cade il mondo io non mi sposto, cerco invece, in un esercizio vano e disperato, di trattenerlo ancorato alla logica ed alla ragione, al sentimento ed all’amore, ma sono sempre più solo. Sostengo ed attuo la difesa degli animali, la loro tutela contro inutili sofferenze ed abusi. Sono figlio degli anni ’60 e ne porto addosso le emozioni e le pulsioni che la mia generazione ha ricevuto. Ho coscienza di far parte di un segmento storico, giudicato con impietosa severità da chi ci succede. La mia generazione ha prodotto contraddizioni morali, etiche, religiose e anche sociali, ma ha determinato la crescita del Paese. I miei J’accuse sono sassi gettati nel lago, lo so che qualcuno è sempre pronto ad accodarsi alla lotta, ne sono convinto!